Cosa è lo Smart Working?

Lo smart working, riemerso  a causa delle restrizione  COVID-19, necessita di molta attenzione per evitare problemi di sicurezza e per ottenere la massima produttività, senza alienare i lavoratori che lo utilizzeranno dalla propria abitazione.

  smart working

Smart working

Tutti entusiasti dello smart working, ma in realtà cosa pensate di farci?

Questa modalità di lavoro fu ampiamente ostacolata da sindacati e middle management nei primi anni 90, quando poteva dare una grande svolta al mondo del lavoro. In emergenza COVID-19, sembra che siano scomparsi tutti gli ostacoli di allora e il telelavoro diventa una panacea. Troppi ne parlano a sproposito!

Sono stati cooptati, persino i bimbi delle scuole primarie, in assenza di idee migliori.

Le aziende, come al solito, trainate dai maggiori fornitori di strumenti di video conferenza, si avvicinano allo smart working sottoscrivendo questa o quella soluzione. In realtà, uno strumento di video conferenza dovrebbe già essere alla portata di tutti, mentre il trasferimento di processi aziendali in lavorazioni remote, sia pure eseguite dallo stesso personale, andrebbero ponderate verificandone prima la fattibilità e facendo fare da cavie i lavoratori stessi.

Per prima cosa, andrebbero disegnati i processi idonei allo  smart working, definendone con chiarezza i confini e le responsabilità che ogni lavoratore remoto deve assumersi.

Non basta dotare tutto il personale di un notebook con webcam e di una connessione Internet per fare smart work.  Per impostare il lavoro in smart working, il lavoratore deve essere incaricato di perseguire un determinato obiettivo aziendale, definendo le aree di condivisione e sovrapposizione con altri lavoratori. Non dobbiamo trascurare che con lo smart work ognuno lavora da casa propria con tutte le implicazioni della presenza del proprio nucleo familiare.

Negli anni novanta, le principali difficoltà sorsero nel sistema di misurazioni della performance e le tecniche di miglioramento della produttività. In realtà, sindacati e middle management ostacolarono ogni iniziativa, perché in realtà il telelavoro riduceva drasticamente il loro potere. Oggi, grazie al COVID-19, tutti quegli impedimenti strumentali sono stati asfaltati. Resta amplificato il problema della sicurezza.

Un’azienda che affida le sue attività ad un esercito di suoi lavoratori remoti, deve render accessibile la rete aziendale da qualsiasi punto della rete pubblica.

Negli anni ’90 ci si preoccupava dei costi della connessione, oggi, quel costo è marginale, invece è vitale la cyber security dei dati personali del lavoratore e dei dati aziendali che va ad accedere. La miriade di APP, proposte anche dai governanti come panacea di ogni problema, costituiranno il più grande pericolo, se non saranno ben controllate e governate da enti che ne certificano l’autenticità e la conformità alle leggi.

In sostanza, il “Grande Fratello” è  sempre dietro l’angolo.

Lo smart working, per forza di cose, avviene fuori dal perimetro aziendale e attraverso dispositivi personalizzati dal lavoratore. Ciò rende molto più facile il cyber-crime.

Altro problema non trascurabile è l’ampiezza di banda o la velocità della rete su tutto il territorio nazionale. Sono più di venti anni che si parla di banda larga. Se l’avessero portata in tutti i Comuni d’Italia, oggi lo smart working avrebbe potuto risolvere molti problemi di traffico, di distanza e di inquinamento nelle grandi città. Invece saremo costretti a restare aggrappati alle metropoli se vogliamo riprendere a lavorare ad un ritmo accettabile.

La tecnologia rende appetibile questo nuovo modo di affrontare il lavoro in presenza delle restrizioni per la pandemia COVID-19, ma non è concepibile che aziende serie permettano attività aziendali in smart working senza un minimo di definizione dei processi fattibili e dei problemi di sicurezza, integrità, riservatezza, integrità, ancora da risolvere anche con il lavoro in azienda.

Da Linea EDP del 1° Maggio: una nota ufficiale da Marco Urciuoli, Country Manager di Check Point Italia: «La pandemia Covid-19 ha colto aziende e dipendenti sostanzialmente impreparate a un lavoro da remoto di tipo massivo. Anche aziende che già praticavano varie forme di smart working sono state colte alla sprovvista e hanno dovuto implementare misure integrative per permettere a tutti i dipendenti di lavorare da remoto. La maggior parte delle imprese però si è trovata a dover creare tutto da zero e in brevissimo tempo. Si sono rese necessarie dunque modifiche all’infrastruttura per gestire gli accessi – partendo dalla creazione di VPN e al passaggio al cloud – e si è fatto ricorso massiccio alle piattaforme di videoconferenza, che sono comode ma se non vengono attuati gli accorgimenti necessari possono diventare estremamente rischiose per la sicurezza aziendale».

Assisteremo alla corsa  alla soluzione più affidabile e più sicura. Probabilmente esistono già delle tecnologie sicure, scegliendo quella giusta, in base alle proprie esigenze ed al proprio budget e provandola nei minimi particolari, prima di adottarla e distribuirla al proprio personale.

Un buon tool di smart working deve essere:

  • Scalabile – estendibile alla maggior parte dei lavoratori.
  • Facile da usare – intuitivo e alla portata di qualsiasi utente.
  • Supportato – assistito da un contratto di manutenzione serio, per ogni eventuale interruzione.

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