Costa Concordia e Santa Maria di Colombo

(due naufragi simili anche nell’operato del comandante)

Da un bel libro di Gianni Granzotto su Cristoforo Colombo ho appreso che anche il comandante della Santa Maria – la caravella ammiraglia di Cristoforo Colombo – finì sugli scogli  vicino a riva, la notte di Natale del 1492 e come il comandante Schettino, anche Juan de la Cosa abbandonò per primo la nave. La storia si ripete.

Le tre Caravelle di Cristoforo Colombo

Riporto il passo in cui viene descritta la tragedia a pag. 198.

Da “Cristoforo Colombo” di Gianni Granzotto

“Alle undici di  notte, quando il mozzo capovolse l’ampolla, si procedette al cambio della guardia. Gli uomini erano molto stanchi, non avevano dormito da più di ventiquattro ore per allestire la partenza da San Tomaso e per l’impegno di continua manovra che li aveva tenuti occupati nel doppiare il Capo d’Haiti. Tutti coloro che erano franchi dal servizio si stesero sul ponte e lungo le murate. Colombo stesso passeggiò per qualche minuto sul cassero, scambiò qualche parola con Juan de la Cosa che comandava la guardia montante, poi si ritirò nella sua cabina. Recitò le preghiere abituali inginocchiato accanto al letto. Pensava a Betlemme, al grande evento che stava per ripetersi quella notte nella memoria degli uomini. Cadde presto in un sonno profondo.

Appena lo videro scomparire nella sua cabina anche le vedette e i mozzi, e gli altri uomini di guardia cercarono di trovare sul ponte un luogo adatto per chiudere gli occhi un momento. Era una strana notte, torpida, senza vita. Ispirava un senso di grande abbandono, molto simile alla sicurezza, che in mare è sempre un’illusione densa di rischi. Anche Juan de la Cosa, “padrone”  della Santa Maria e comandante in seconda, si lasciò prendere nelle spire di quella tentazione. Si accertò che la Niña stesse ancora davanti, indicò al timoniere una stella sicura su cui dirigere la rotta, e con l’ordine di chiamarlo nel caso in cui cambiasse il tempo o girasse il vento andò anch’egli a dormire nella sua cuccia sotto coperta.

Il torpore che era sceso nelle membra di tutti pareva qualcosa di invincibile. Anche il timoniere si accorse di dormicchiare, e temette di non resistere a occhi aperti. Svegliò con un calcio il mozzo addetto all’ampolla che era rannicchiato accanto a lui, e gli affidò “per un momento” la barra del timone, grande e pesante, dura da manovrare.  Colombo aveva severamente proibito di farlo in ogni circostanza. Così di quaranta uomini che erano a bordo della nave ammiraglia, senza contare gli indiani prigionieri, nessuno a mezzanotte era rimasto sveglio, tranne quel giovane mozzo alle prese con il timone.

E sulla mezzanotte, proprio all’ora del Natale, accadde l’irreparabile. L’irreparabile e l’imprevedibile, in quel mare calmissimo, appena  a due o trecento metri dalla costa. Ho visto il luogo, ho scrutato a lungo il mare dove avvenne la tragedia. Appena al largo c’è una specie di piattaforma rocciosa, poco profonda, con sporgenze dentate come seghe che si alzano fin quasi alla superficie. I pescatori di quelle rive le conoscono bene. Mi hanno raccontato che spesso gli ami delle loro lenze vanno a impigliarsi negli spuntoni di roccia sottomarina, e non è più possibile districarli. Qualcuno dice che sono i fantasmi dei morti sepolti lì nei fondali, “anche di marinai venuti dall’Europa”, i quali si vendicano a quel modo. Nel dialetto creolo di Haiti chiamano quegli spettri aloa. Ne hanno gran timore: il timore che non ebbe Colombo, non ebbe Juan de la Casa, non ebbe il timoniere addormentato.

Il povero mozzo guardava la stella che gli era stato detto di guardare. La Santa Maria si muoveva appena, era la corrente che la spingeva in avanti in modo quasi impercettibile, verso le barriere mortali. Il Giornale descrive  il momento dell’impatto nella più breve ed efficace delle scritture: “Il garzone udì arare il timone, sentì il rumore, e si mise a gridare”. L’Ammiraglio (Colombo) corse per primo sul cassero, insieme a Juan de la Cosa che si era precipitato fuori dal suo giaciglio. In un battibaleno la coperta era gremita di marinai, e il silenzio della notte rotto dalle urla, dalle imprecazioni, dalle bestemmie. Anche dagli ordini, naturalmente. Colombo s’era subito reso conto che la Santa Maria aveva dato in secco di prua, mollemente. Ma il bastimento pescava più a poppa che a prua, e per tentare di rimetterlo a galla bisognava farlo retrocedere. Colombo ordinò che fosse gettata un’ancora prima della secca e che se ne tirasse poi il cavo con l’argano, in modo che la nave potesse districarsi indietreggiando con la poppa: quel che in gergo marinaro si dice “tonneggiare“. Bisognava portare l’ancora  e il cavo sul punto di manovra con la lancia di bordo, che fu subito messa in mare. Vi salì Juan de la Cosa: ma appena imbarcato sulla lancia invece di compiere la manovra si diresse a tutta forza di remi verso la Niña, che continuava a procedere davanti.

L’episodio, come già tanti altri, ebbe diverse interpretazioni. Colombo accusò il de la Cosa di viltà e tradimento. C’era un certo astio tra lui e l’Ammiraglio. De la Cosa era basco, il “padrone” della Santa Maria che aveva la sua base in Galizia. Esisteva uno stato d’animo di reciproca avversità tra i gruppo dei marinai baschi che erano a bordo della Santa Maria, e il gruppo dei castigliani. De la Cosa fu persino incolpato d’aver colto quella occasione per provocare la rovina di Colombo. Ma la nave era sua, non aveva alcun interesse a perderla. Si giustificò dicendo che non c’era ancora alcun segno di pericolo imminente quando egli si allontanò per andare a chiedere  man forte all’equipaggio della Niña. Probabilmente nel comportamento di Juan de la Cosa ci fu anche lo smarrimento di sentirsi responsabile del disastro, il senso di colpa e il timore della punizione. Credo che nessuno potrà mai spiegare l’esatta ragione di quella sua specie di fuga, l’abbandono d’un uomo spaventato e inorridito. Ma il naufragio, assai  verosimilmente, era ormai inevitabile. Per le circostanze in cui avvenne, per la fama che la nave conservò nel tempo, e la figura del personaggio che la comandava restò uno dei naufragi più famosi della storia.

Colombo, quasi furiosamente, impartì comandi concitati per cercare un salvataggio impossibile. Ordinò di tagliare il grosso albero di maestra per alleggerire il peso del bastimento, fece gettare in  mare la zavorra, e ogni altro carico non essenziale. Ma l’acqua imprigionava ormai la Santa Maria. Bastava un’onda di risacca che veniva a spegnersi sui fondali per spingere sempre più il veliero sopra il banco, dove la roccia l’aveva addentato e già gli penetrava nei fianchi. La poppa si girò, la nave si mise di traverso al mare. Ogni onda successiva la sollevava un istante per poi lasciarla ricadere duramente sulle lame aguzze del fondo. Si aprirono in un attimo varchi paurosi tra il fasciame; le tavole erano tutte sconnesse, l’acqua entrava  a fiotti dentro lo scafo. A un certo punto”la caravella non poté più respirare“. Si coricò allora sul fondo, un po’ piegata, per metà dentro e per metà fuori dal mare. Era ferita a morte. Irrecuperabile.

Colombo constatò l’inutilità d’ogni tentativo di strappare la Santa Maria alla sua sorte. Non attese nemmeno le luci del giorno. Nella stessa notte si trasferì con l’intero equipaggio, sulle due lance, a bordo della Niña. Lì stettero tutti pigiati e svegli sul ponte a guardare l’agonia della nave ammiraglia. All’alba si misero al lavoro di gran lena per porre in salvo le provviste, il carico, le attrezzature, fino a quando la Santa Maria si ridusse a un rottame di legno vuoto, infilzato sul mare.  La riva era tanto vicina che il recupero poteva svolgersi senza troppe difficoltà. Anche Colombo andò con la lancia oltre la catena degli scogli, sul luogo del sinistro.

Era il primo Natale che egli viveva al di là dell’oceano. Lo scopritore dell’America, davanti alla sua nave perduta, lasciò che le lacrime gli colassero sul volto.”

Commenti

Anche se descrive una tragedia, il passo mi è sembrato bello, chiaro e senza partigianeria. Colombo, dopo la grande scoperta, non ha avuto vita facile, tanto meno i suoi eredi ma questa è un’altra storia.

Quello che mi ha colpito in questa storia è la similitudine del naufragio con quello della Costa Concordia, compreso il  comportamento del comandante,  sebbene a circa 500 anni di distanza.

Sono graditi commenti, senza offendere nessuno tra morti e vivi.

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