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L’intelligenza Artificiale  vs  “Dialogo di Menone e Socrate”  di Platone

Troppe considerazioni favorevoli e contrarie all’Intelligenza Artificiale. Ma proviamo a considerare cosa diceva Socrate a proposito del sapere. L’intelligenza Artificiale Generativa promette miracoli, ma su quali basi e con quali garanzie? Riprendo parte del Menone di Platone per farti godere della bellezza del ragionamento di Socrate a proposito dell’insegnamento contrapposto al ricordare dell’anima.

Avvento dell’Intelligenza Artificiale

Molti pseudo esperti affermano che  l’Intelligenza Artificiale è una grande rivoluzione, superiore a tutte le precedenti: Industriale, Internet, Personal Computer,Elaboratore Elettronico, Macchine Agricole, Corrente Elettrica, Televisione, Radio,  perfino alla stampa di Gutenberg. Di solito, sono state fatte previsioni catastrofiche o promesse soluzioni eccezionali. Pochi ci hanno preso. Sarà lo stesso con l’Intelligenza Artificiale (AI)? Forse si.

L’aspettativa positiva è enorme, ma, come al solito,  le sorprese non mancano mai, perché sono insite nelle grandi innovazioni. Tutto ciò che viene concepito a fin di bene per l’umanità, purtroppo ha anche il rovescio della medaglia, perciò anche l’Intelligenza Artificiale potrà essere utilizzata per iniziative malevoli, come già accade con Internet. E’ il destino di tutte le innovazioni tecnologiche, basta pensare alla Bomba Atomica, disastrosa fin dal primo momento.

I dibattiti su AI si sprecano a tutti i livelli, soprattutto tra i NON-ADDETTI ai lavori. Molti sembrano “Alice nel paese delle meraviglie“: non esistono cattivi e se dovessero esistere è meglio non parlarne per non disturbare chi prospetta grandi affari con  l’Intelligenza Artificiale Generativa. Quello che sta diventando insopportabile, è che anziché dire alle masse come utilizzare l’AI, tutti si strappano le vesti alzando le braccia, di fronte al pericolo del potenziale cattivo utilizzo, che già avviene.

Molti parlano di “Etica” o addirittura di “Algoretica” o di “Simbiotica“: paroloni che cercano di tranquillizzare i cittadini perché se ne stanno preoccupando loro. Ognuno reclama o promette regole, ma chi le emanerà e a che titolo? Ci dobbiamo credere?

L’AI-ACT, ad esempio, è ancora una proposta di linee guida con una serie di sogni e promesse di divieti in nome dell’etica e qualche velata minaccia ai produttori di Strumenti di AI Generativa. Semmai diverrà legge, chi effettuerà i controlli sui tanti produttori di software da tutto il mondo e di quelli che si accoderanno?

Purtroppo, non essendoci una chiara strategia e i produttori di software la faranno da leoni, scannandosi al vertice.

Intanto, si continua a filosofeggiare in astratto, proprio come nel Dialogo tra Socrate e Menone di Platone, circa 2500 anni fa.

Sto cercando di comprendere l’effetto che avrà l’Intelligenza Artificiale sul Project Management e sulla Business Analysis, ma ancora si vola altissimo: si avvertono i soliti entusiasmi per le innovazioni, ma anche la presenza di molti menagrami che annunciano catastrofi. Lo scenario è simile alla confusione che creò la campagna vaccinale per il Covid-19.

Per sdrammatizzare, prendo a prestito la prima parte del “Menone”  di Platone, perché sembra scritto proprio per esaminare l’affidabilità dell’Intelligenza Artificiale Generativa.

Il dialogo di Socrate con Menone riguarda la definizione della “Virtù” e se sia insegnabile o meno.

  • Socrate imposta il dialogo come interrogazione e mai come insegnamento sia con Menone che con un suo schiavo.
  • Menone dà la sua definizione di “Virtù” ma alla fine sarà costretto a convenire  con la tesi di Socrate:

La virtù non è insegnabile, perché è una “Essenza” dell’anima“.

Per confutare la definizione di “Virtù” data da Menone, Socrate ricorre al paragone con le “api”: ne esistono tante specie, ma in definitiva noi le identifichiamo solo con il termine “api”.

Anamnesi

Poi, per dimostrare che la virtù non è insegnabile, Socrate ricorre allo stratagemma di interrogare uno schiavo di Menone, nato e cresciuto senza nessun insegnamento, neanche in geometria.

Socrate sostiene che la virtù  è soltanto una reminiscenza  di ricordi dell’Anima nelle vite precedenti, processo detto “Anamnesi“.

Con il suo esperimento maieutico, Socrate dimostra che lo schiavo riconosce il quadrato e come calcolare la sua area. Con la stessa sicurezza lo schiavo afferma che raddoppiando la lunghezza del lato di un quadrato, si raddoppia anche l’area. Ma, riflettendo, con l’aiuto di Socrate scopre   che non è corretto, perciò ricorre alle  diagonali dei quattro quadrati che formano il quadrato con lato doppio, scoprendo con esattezza un quadrato con l’area raddoppiata e non quadruplicata.

Quadrato di Socrate e Menone

Pertanto, se un quadrato con lato doppio ha come area 16, Limitandosi allo spazio circoscritto dalle diagonali, l’area  risulta effettivamente doppia rispetto a quella del quadrato iniziale. Lo schiavo, oggi con l’ausilio dell’Intelligenza Artificiale forse non avrebbe risposto con leggerezza “doppio”, mentre in effetti l’area era “quadrupla”, ma, immediatamente,  con le reminiscenze dell’anima ha risolto brillantemente il problema senza aver ricevuto nessun insegnamento, ma solo ricordando, come afferma Socrate: “alcune conoscenze erano già presenti nella sua anima“. Perciò, Socrate non gli ha insegnato la geometria, ma gliel’ha fato solo ricordare.

Insomma, Platone fa dire a Socrate che la virtù è insita nell’animo della persona, la quale se è fortunata è la reincarnazione di un’anima che ha vissuto diverse vite in passato. L’anima non apprende, ma ricorda.

Intelligenza Artificiale e Anima che ricorda

Se Socrate fosse ancora tra noi (in base alla sua tesi, la sua anima potrebbe essere nel corpo di uno di noi), sarebbe un bel discutere circa l’etica dell’Intelligenza Artificiale, ma anche soltanto sulla correttezza delle risposte che ci può dare l’Intelligenza Artificiale Generativa.

Da più parti, si afferma che con l’Intelligenza Artificiale Generativa si possono realizzare tantissime cose, ad esempio in ambito Project Management si parla di:

  • Problem solving
  • Learning and Reasoning
  • Visual Perception
  • Voice Recognition
  • Data analysis, Pattern Analysis and more.

Facile  a dirsi, ma con quale grado di affidabilità?

Almeno inizialmente, non sarà facile affidare la propria reputazione ad un software, piombato sul mercato, con la clausola “AS IS”:

Se va bene l’ha fatto il software AI, se va male la responsabilità è tutta dell’utente che ha prodotto il risultato.

La comparsa in massa di tanti tool di AI non consente una seria valutazione dell’affidabilità dei prodotti,  finendo completamente nelle mani dei produttori di questi strumenti: mi fido o non mi fido? Siamo al classico: “Oste come è il vino?  La risposta più probabile è: “We are the best“.

Con questa giustificata preoccupazione, adesso divertiti con il pensiero di Socrate nel dialogo con Menone!

Dialogo sulla definizione della “Virtù”

MENONE: Puoi dirmi, Socrate, se la virtù è insegnabile? O non è insegnabile, ma può essere acquisita con l’esercizio? Oppure, se non può essere acquisita con l’esercizio né con l’istruzione, è presente negli uomini per natura o in qualche altro modo?

SOCRATE: O Menone, prima d’ora i Tessali godevano di buona reputazione tra i Greci ed erano ammirati per la loro  abilità nel cavalcare e per la loro ricchezza;  oggi, invece, a quel che mi sembra, lo sono anche per la loro sapienza e soprattutto i concittadini del tuo amico Aristippo, (5) i Larisei. La causa di ciò è per voi Gorgia; giunto infatti in città, fece innamorare per via della sua sapienza i più illustri degli Alevadi, tra i quali c’è il tuo amante Aristippo, e degli altri Tessali. E in particolare vi ha dato questa abitudine, di rispondere senza paura e generosamente se qualcuno pone qualche domanda, come è naturale che facciano quelle persone che sanno, dal momento che egli stesso si mette a disposizione delle domande di chi tra i Greci voglia interrogarlo, su qualsiasi argomento desideri, e non c’è nessuno al quale non dia una risposta. Qui,  invece, caro Menone, è avvenuto il contrario: c’è stata una specie di inaridimento della sapienza e c’è il rischio che da questi luoghi la sapienza si trasferisca da voi. Se invero desideri interrogare qualcuno di qui in questo senso, non ce ne sarà uno che non scoppierà a ridere e dirà: «Straniero, è probabile che io appaia ai tuoi occhi un beato – che appunto io sappia se la virtù possa essere insegnata o se sopraggiunga in qualsiasi altro modo -, ma io sono tanto lontano dal sapere se sia insegnabile o se non sia insegnabile che mi trovo a non sapere neppure la cosa in sé, che cosa mai sia la virtù».

Ebbene, anch’io, o Menone, mi trovo in questa condizione: condivido con i miei concittadini la mancanza di questa cosa, e rimprovero me stesso per il fatto che non so proprio nulla della virtù; e di una cosa della quale non so cosa sia, come potrei in qualche modo conoscerne la natura? O forse credi sia possibile se uno non conosce affatto chi sia Menone, che costui possa sapere se è bello, se è ricco, se è nobile o se è il contrario di tutto ciò? Pensi che sia  possibile?

MENONE: No, non credo. Ma tu, o Socrate, è vero che ignori cosa sia la virtù e che questo dovremo riferire su di te anche in patria?

SOCRATE: Non solo, amico mio, ma anche che non ho mai incontrato nessun altro, a quel che credo, che lo sapesse.

MENONE: Cosa? Non incontrasti Gorgia quando si trovava qui?

SOCRATE: Sì.

MENONE: E allora, non ti sembrava che lo sapesse?

SOCRATE: Non ho buona memoria, o Menone, per cui non so dire, in questo momento, come la pensassi allora. Ma forse egli lo sapeva, e tu sai ciò che egli diceva; ricordami dunque come si esprimeva. Ma se vuoi, dillo tu stesso: perché sicuramente pensi ciò che appunto pensava lui.

MENONE: Sì.

SOCRATE: Lasciamolo andare, dunque, dal momento che per di più è assente; tu, per parte tua, in nome degli dèi, o Menone, cosa dici che sia la virtù? Parla e non rifiutarti, affinché il mio errore sia il più felice degli errori, se mi mostri che tu e Gorgia sapete, mentre io ho detto che non ho mai incontrato nessuno che lo sapesse.

MENONE: Ma non è difficile, o Socrate, dirlo. Per prima cosa, se vuoi considerare la virtù dell’uomo, è facile dire che questa è la virtù dell’uomo: essere capaci di amministrare gli affari della città, e nel far questo beneficare gli amici e danneggiare i nemici e stare attenti a non subire nulla del genere. Se invece vuoi parlare della virtù della donna, non è difficile spiegare che ella deve amministrare bene la casa, mantenendo in buono stato le proprietà che si trovano all’interno e mostrandosi obbediente al marito. Diversa poi è la virtù del fanciullo, femmina e maschio, e dell’uomo anziano, libero, se vuoi, e se vuoi schiavo. E ci sono moltissime altre virtù, sicché non c’è difficoltà a dire della virtù che cosa sia; infatti, in base a ogni attività e a ogni età, per ogni occupazione per ciascuno di noi c’è la virtù, così come credo, o Socrate, ci sia anche il vizio.

SOCRATE: Sembra che io abbia avuto una gran bella fortuna, o Menone, se, cercando una sola virtù, ho trovato in te uno sciame di virtù. Tuttavia, o Menone, per continuare questa immagine degli sciami, supponiamo che tu alla mia domanda, a proposito dell’essenza dell’ape, quale sia questa essenza, mi rispondessi che esse sono molte e di varie specie, che cosa mi risponderesti se ti chiedessi: «Tu con questo vuoi dire che sono molte e di varie specie e differenti tra loro perché sono api? Oppure che non sono affatto differenti in questo, ma in qualcos’altro, come per esempio nella bellezza o nella grandezza oppure in qualche altra cosa del genere?». Dimmi, cosa risponderesti,  se ti venisse posta una simile domanda?

MENONE: Io risponderei questo, che non differiscono affatto l’una dall’altra, in quanto api.

SOCRATE: Se dunque poi io dicessi: «Dimmi allora questo, Menone: ciò per cui non sono affatto differenti, ma sono tutte la stessa cosa, cosa dici che sia?», ebbene, avresti qualcosa da rispondermi?

MENONE: Sì.

SOCRATE: Dunque la cosa va così anche riguardo alle virtù: anche se sono molte e di varie specie, pure esse hanno tutte una stessa forma, grazie alla quale sono virtù, guardando alla quale è in una posizione favorevole colui che sta rispondendo a chi gli abbia chiesto di mostrare che cosa si trovi a essere la virtù; o non comprendi ciò che dico?

MENONE: Credo di capire; tuttavia non afferro ancora la domanda come vorrei.

SOCRATE: Solo a proposito della virtù, Menone, la pensi così, che una è la virtù dell’ uomo, una quella della donna e degli altri, oppure hai la stessa opinione anche circa la salute, la grandezza e la forza? Tu pensi che una cosa sia la salute dell’uomo, un’altra quella della donna? Oppure è in ogni caso la medesima forma, se è salute, che sia in un uomo o che sia in chiunque altro?

MENONE: Io credo che la salute sia la stessa, sia dell’uomo sia della donna.

SOCRATE: Quindi anche la grandezza e la forza? Se una donna è forte, sarà forte per la stessa forma e la stessa forza?

Con «la stessa» voglio dire questo: che la forza non differisce in relazione al fatto di essere forza, sia che si trovi in un uomo sia che si trovi in una donna. Oppure pensi che ci sia qualche differenza?

MENONE: No, a me non sembra.

SOCRATE: La virtù differirà in qualcosa, quanto al fatto che è virtù, se si trova in un bambino o se sia in un vecchio, in una donna o in un uomo?

MENONE: In qualche modo mi sembra, o Socrate, che questo esempio non sia del tutto simile agli altri.

SOCRATE: Che cosa? Non dicevi che la virtù di un uomo è amministrare bene una città, mentre la virtù di una donna amministrare bene una casa?

MENONE: Sì.

SOCRATE: Dunque, è possibile amministrare bene una città o una casa o qualsiasi altra cosa sia, se non la si amministra in modo moderato e con giustizia?

MENONE: No davvero.

SOCRATE: E se amministrano giustamente e assennatamente non amministreranno con giustizia e assennatezza?

MENONE: è inevitabile.

SOCRATE: Dunque entrambi, se vogliono essere virtuosi, hanno bisogno, sia la donna sia l’uomo, delle stesse cose, di giustizia e assennatezza.

MENONE: è evidente.

SOCRATE: E il fanciullo e il vecchio? Se sono sregolati e ingiusti, potrebbero mai diventare virtuosi?

MENONE: No davvero.

SOCRATE: Ma se sono saggi e giusti?

MENONE: Sì.

SOCRATE: Quindi tutti gli uomini sono virtuosi allo stesso modo: infatti diventano buoni quando hanno acquisito le stesse qualità.

MENONE: Così sembra.

SOCRATE: Certo non sarebbero virtuosi allo stesso modo, se non avessero la stessa virtù.

MENONE: No sicuramente.

SOCRATE: Dunque, dal momento che la virtù è la stessa in tutti, cerca di dire e di ricordare che cosa Gorgia dice che essa sia e tu insieme a lui.

MENONE: Che altro è se non essere capaci di comandare gli uomini? Se appunto cerchi una sola cosa per tutti i casi.

SOCRATE: Ma certo che la cerco. E tu pensi, o Menone, che anche la virtù del ragazzo e dello schiavo sia essere capaci di comandare il padrone, e, a tuo parere, sarebbe ancora uno schiavo colui che comanda?

MENONE: No, non lo credo affatto, o Socrate.

SOCRATE: In effetti non è verosimile, carissimo. Considera inoltre anche questo: tu dici «essere capaci di comandare», non aggiungeremo qua l’espressione «giustamente, non ingiustamente»?

MENONE: Io credo di sì, la giustizia infatti, o Socrate, è virtù.

SOCRATE: La virtù, o Menone, o una virtù?

MENONE: Cosa vuoi dire con questo?

SOCRATE: Come per qualsiasi altra cosa. Per esempio, se vuoi, a proposito della circolarità io potrei dire che è una figura, ma non così semplicemente che è la figura. Direi così perché ci sono anche altre figure.

MENONE: E il tuo discorso è corretto, dal momento che anch’io dico che non esiste solo la giustizia, ma anche altre virtù.

SOCRATE: Quali sono queste virtù? Dimmelo: come anch’io ti potrei indicare altre figure, se tu me lo chiedessi, così anche tu menzionami dunque altre virtù.

MENONE: Ebbene, il coraggio mi sembra che sia una virtù, e così la temperanza, la sapienza, la magnificenza  e innumerevoli altre.

SOCRATE: Ci è capitata di nuovo la stessa cosa, o Menone: cercando una sola virtù ne abbiamo trovate molte, in una maniera diversa rispetto a poco fa; ma quest’unica virtù che si trova in tutte queste altre, non riusciamo a trovarla.

MENONE: E infatti, o Socrate, non riesco proprio, nel modo in cui tu la cerchi, a comprendere quest’unica virtù presente in tutte, così come avveniva negli altri casi.

SOCRATE: è naturale; ma io farò ogni sforzo, se mi è possibile, perché possiamo andare avanti. Comprendi infatti che le cose stanno così in ogni caso: se qualcuno ti ponesse la domanda alla quale facevo riferimento poco fa: «Che cos’è una figura, o Menone?», se gli rispondessi che è la circolarità, se ti chiedesse ciò che appunto ti ho chiesto io: «La circolarità è la figura o una figura?», sicuramente diresti che è una figura.

MENONE: Certamente.

SOCRATE: Forse perché esistono anche altre figure?

MENONE: Sì.

SOCRATE: E se inoltre ti chiedesse quali, le diresti?

MENONE: Sì.

SOCRATE: E ancora, se ti si chiedesse allo stesso modo riguardo al colore, che cos’è, se tu rispondessi che è il bianco e  di rimando il tuo interlocutore chiedesse: «Il bianco è il colore o un colore?», diresti che è un colore, perché ce ne sono anche altri?

MENONE: Sì.

SOCRATE: E se ti pregasse di dire altri colori, ne indicheresti altri che sono colori non meno del bianco?

MENONE: Sì.

SOCRATE: E se dunque continuasse il discorso, come facevo io, e dicesse: «Arriviamo sempre a una pluralità di cose, ma per me non va così; tuttavia dal momento che tu chiami questa pluralità con un solo nome e dici che non ce n’è nessuna tra esse che non sia una figura, anzi, essendo queste il contrario l’una dell’altra, cos’è quella cosa che comprende la circolarità non meno della retta, che tu chiami appunto figura, dicendo che ciò che è circolare è una figura per nulla meno di quanto lo sia ciò che è retto?». O non dici così?

MENONE: Sì.

SOCRATE: Ebbene, quando tu parli così, non dici forse che ciò che è circolare non è più circolare di ciò che è retto, e ciò che è retto non è più retto di ciò che è circolare?

MENONE: No davvero, o Socrate.

SOCRATE: Eppure tu affermi che ciò che è circolare non è una figura più di quanto lo sia ciò che è retto, né il secondo più del primo.

MENONE: Dici il vero.

SOCRATE: Che cosa è mai dunque questa cosa che ha questo nome, la figura? Cerca di spiegarlo. Se dunque a chi ti ponesse una domanda del genere a proposito della figura o del colore, tu rispondessi: «Ma io non capisco proprio  cosa vuoi, uomo, e non so cosa dici», forse si meraviglierebbe e direbbe: «Non capisci che cerco ciò che in tutte queste cose è identico?», e neppure in riferimento a questo, o Menone, sapresti rispondere, se uno ti chiedesse: «Che cosa c’è nel circolare, nel dritto e nelle altre cose che tu chiami appunto figure che sia identico in tutte?». Cerca di rispondere, per essere preparato alla risposta sulla virtù.

MENONE: No, dillo tu, o Socrate.

SOCRATE: Desideri che ti faccia un favore?

MENONE: Certo.

SOCRATE: E vorrai quindi anche tu rispondermi sulla virtù?

MENONE: Sì.

SOCRATE: Bisogna essere allora bene animati, perché ne vale la pena.

MENONE: Sicuramente.

SOCRATE: Suvvia, cerchiamo di spiegarti che cos’è la figura. Considera dunque se accetti questa definizione: per noi la figura sia ciò che sola, tra le cose esistenti, accompagna sempre il colore. Lo ritieni sufficiente o cerchi in qualche altro modo? Io infatti sarei soddisfatto se mi rispondessi così sulla virtù.

MENONE: Ma questa definizione e ingenua, o Socrate.

SOCRATE: Come dici?

MENONE: Voglio dire che la figura, in base al tuo discorso, è ciò che segue sempre il colore. E sia: se però qualcuno dicesse di non conoscere il colore, ma si trova in difficoltà allo stesso modo come per la figura, quale risposta pensi di aver dato?

SOCRATE: La verità, per parte mia; e se fosse un saggio, uno degli eristici e degli amanti delle dispute ad interrogare, gli direi: «Ho dato la mia risposta; se quel che dico non è giusto, è compito tuo prendere la parola e contestarlo ». Ma se, come me e te adesso, essendo amici, volessero discutere tra loro, bisogna rispondere con un tono più mite e con maggiore argomentazione. Forse il modo più argomentativo implica non solo rispondere la verità, ma anche rispondere attraverso quei passaggi che l’interrogato ammetta di sapere. Cercherò di parlarti anch’io in questo modo. Dimmi: c’è qualcosa che tu chiami fine? Con questo voglio dire termine, limite ultimo – con tutte queste parole dico un’identica cosa; forse Prodico sarebbe di parere diverso dal nostro, ma tu, ne sono sicuro, dici che qualcosa è terminato e finito – voglio dire qualcosa di tal genere, niente di complicato.

MENONE: Sì, uso questi nomi, e credo di capire ciò che stai dicendo.

SOCRATE: Cosa? Tu chiami qualcosa piano e qualcos’altro solido, come i termini che si impiegano nelle geometrie?

MENONE: Io almeno li chiamo così.

SOCRATE: Ormai quindi potresti capire da tutto ciò che cosa intendo con figura. Infatti per ogni figura io dico questo: che la figura è il limite in cui finisce il solido; concludendo potrei dire che la figura è il limite del solido.

MENONE: E del colore, Socrate, cosa dici?

SOCRATE: Sei senza misura, Menone: tormenti un uomo anziano con l’ordine di rispondere, mentre tu stesso non vuoi ricordare e dire che cosa mai Gorgia dice che sia la virtù.

MENONE: Ma te lo dirò, Socrate, quando tu mi avrai detto questo.

SOCRATE: Anche velati si potrebbe riconoscere, Menone, mentre parli, che sei bello e che hai ancora degli amanti.

MENONE: Perché mai?

SOCRATE: Perché non fai che impartire ordini nei tuoi discorsi, come fanno coloro che vivono nel lusso, dato che sono tiranni finché sono nel fiore della giovinezza, e contemporaneamente forse ti sei accorto che io mi lascio sopraffare  ai belli. Dunque ti farò cosa gradita e risponderò.

MENONE: Fammi questo grande favore.

SOCRATE: Ebbene, tu vuoi che io ti risponda alla maniera di Gorgia, in quanto potresti seguire decisamente meglio?

MENONE: Lo voglio, come no?

SOCRATE: Non dite che ci sono degli effluvi delle cose esistenti, secondo Empedocle?

MENONE: Certamente.

SOCRATE: E che ci sono dei pori nei quali e attraverso i quali gli effluvi vengono fuori?

MENONE: Certo.

SOCRATE: E degli effluvi alcuni si adattano ad alcuni pori, mentre altri sono o più piccoli o più grandi?

MENONE: è così.

SOCRATE: E non c’è inoltre qualcosa che chiami vista?

MENONE: Sì.

SOCRATE: Da queste cose «comprendi ciò che dico», afferma Pindaro. Infatti il colore è un effluvio delle figure corrispondente alla vista e percettibile.

MENONE: Mi sembra, o Socrate, che questa risposta che mi hai dato sia eccellente.

SOCRATE: E infatti forse ho parlato conformemente alla tua abitudine; e contemporaneamente, credo, ti rendi conto che potresti dire, partendo da questa risposta, anche cosa sia la voce e l’odorato e molte altre cose di tal genere.

MENONE: Sicuramente.

SOCRATE: Infatti è tragica, o Menone, la risposta, sicché ti piace di più di quella che riguarda la figura.

MENONE: Sì.

SOCRATE: Non è questa la risposta migliore, figlio di Alexidemo, la migliore è quella, ne sono sicuro; credo anzi che neppure a te parrebbe migliore, se tu non fossi obbligato, come dicevi ieri, a partire prima dei Misteri, ma potessi  restare ed essere iniziato.

MENONE: Ma io potrei restare, o Socrate, se mi dicessi molte cose di questo genere.

SOCRATE: Non mi mancherà davvero la buona volontà, sia per il tuo sia per il mio interesse, nel dire cose di questo genere; tuttavia temo che non sarò capace di dirne molte simili; suvvia, cerca anche tu di mantenere la promessa, dicendo in generale, a proposito della virtù, cosa sia, e smetti di fare molte cose di una sola, come dicono coloro che si fanno beffe di chi ogni volta riduce a pezzi qualcosa; ma lasciala intatta e sana e dimmi poi che cos’è la virtù. Gli esempi li hai avuti da me.

MENONE: Ebbene, mi sembra, o Socrate, che la virtù sia, come dice il poeta, «godere di cose belle e avere potere»; anch’io dico che questo è virtù, desiderare le cose belle e insieme avere il potere di procurarsele.

SOCRATE: Allora tu dici che colui che desidera le cose belle è desideroso di cose buone?

MENONE: Precisamente.

SOCRATE: Forse perché ci sono alcuni che desiderano le cose cattive e altri che desiderano le cose buone? Non credi, carissimo, che tutti desiderano le cose buone?

MENONE: Non credo.

SOCRATE: Allora alcuni desiderano le cose cattive?

MENONE: Sì.

SOCRATE: Perché pensano che le cose cattive siano buone, vuoi dire, oppure, nonostante sappiano che sono cattive, tuttavia le desiderano?

MENONE: Io credo entrambe le cose.

SOCRATE: Dunque, Menone, tu pensi che uno, pur sapendo che le cose cattive sono cattive, ciò nonostante le desidera?

MENONE: Precisamente.

SOCRATE: Che cosa intendi con desiderare? Intendi forse che quelle cose capitino?

MENONE: Che capitino; in effetti che cos’altro?

SOCRATE: Nella convinzione che le cose cattive siano vantaggiose per colui al quale capitano, oppure nella consapevolezza che i mali danneggiano colui presso il quale sono presenti?

MENONE: Ci sono alcuni che credono che i mali siano vantaggiosi, ma ci sono anche altri che sanno che sono dannosi.

SOCRATE: O forse pensi che sappiano che i mali sono mali coloro che ritengono che siano utili?

MENONE: No, questo non lo penso sicuramente.

SOCRATE: Non è dunque evidente che non desiderano i mali coloro che li ignorano, desiderano semmai quelle cose che pensano siano dei beni, e che sono invece mali; sicché, coloro che li ignorano e pensano che siano dei beni, è evidente che desiderano i beni. O no?

MENONE: è probabile per costoro almeno.

SOCRATE: E allora? Coloro che desiderano i mali, come dici tu, pur pensando che i mali danneggiano colui al quale capitano, evidentemente sanno che da quei mali saranno danneggiati?

MENONE: è inevitabile.

SOCRATE: Ma costoro non pensano che coloro che vengono danneggiati sono dei miserabili proporzionalmente al danno che subiscono?

MENONE: Anche questo è inevitabile.

SOCRATE: E i miserabili non sono degli sventurati?

MENONE: Credo di sì.

SOCRATE: C’è dunque qualcuno che vuole essere miserabile e sventurato?

MENONE: Non mi sembra, o Socrate.

SOCRATE: Dunque, Menone, nessuno vuole i mali, se davvero non vuole essere tale. Che cos’altro è infatti essere misero, se non desiderare i mali e ottenerli?

MENONE: è possibile che tu dica la verità, o Socrate, e che nessuno voglia i mali.

SOCRATE: Non dicevi poco fa che la virtù è volere le cose buone e avere il potere di procurarsele?

MENONE: In effetti lo dissi.

SOCRATE: Un dato di ciò che è stato detto, il volere, non è forse di tutti, e in questo senso nessuno è affatto migliore di un altro?

MENONE: è evidente.

SOCRATE: Ma è chiaro che se uno è migliore di un altro, sarebbe migliore per il potere.

MENONE: Certo.

SOCRATE: E questo dunque, com’è naturale, in base al tuo discorso, è la virtù, il potere di procurarsi i beni.

MENONE: Mi sembra, o Socrate, che la cosa stia esattamente così come tu ora supponi.

SOCRATE: Vediamo se anche su questo dici la verità: infatti potresti forse avere ragione. Tu sostieni che la virtù è essere capaci di procurarsi dei beni?

MENONE: Sì.

SOCRATE: E per beni tu non intendi per esempio la salute e la ricchezza?

MENONE: Intendo anche procurarsi oro e argento e onori e cariche in città.

SOCRATE: Non c’è altro che tu classifichi come beni se non cose di tal genere?

MENONE: No, ma intendo tutti questi.

SOCRATE: E sia: dunque la virtù consiste nel procurarsi oro e argento, come afferma Menone, l’ospite ereditario del Gran Re. Ma a questa via di acquisizione, o Menone, tu aggiungi l’espressione «in modo giusto e santo», oppure per te non fa nessuna differenza e anche se uno si procurasse le stesse cose in modo ingiusto, tu parli ugualmente di virtù?

MENONE: No davvero, o Socrate.

SOCRATE: La chiami piuttosto malvagità?

MENONE: Senza alcun dubbio.

SOCRATE: Bisogna allora, com’è naturale, che questa via di acquisizione sia accompagnata dalla giustizia o dalla temperanza o dal rispetto della legge divina o da un altro elemento essenziale della virtù; altrimenti non sarà virtù, nonostante che fornisca i beni.

MENONE: In effetti senza queste cose come potrebbe essere virtù?

SOCRATE: Ma il non procurare oro e argento, quando non sia giusto, né a sé né ad altri, non è virtù anche questa rinuncia?

MENONE: è evidente.

SOCRATE: La via di acquisizione di questo tipo di beni non sarebbe affatto una virtù più di quanto lo sia la rinuncia, ma, com’è ovvio, ciò che è accompagnato dalla giustizia sarà virtù, mentre ciò che non è accompagnato da tutte queste cose, sarà malvagità.

MENONE: Mi sembra che sia necessariamente come dici.

SOCRATE: Non dicemmo  che ognuna di queste cose, la giustizia, la temperanza e così via, è una parte della virtù?

MENONE: Sì.

SOCRATE: E allora, ti prendi gioco di me, o Menone?

MENONE: Perché, Socrate?

SOCRATE: Perché poco fa ti avevo pregato di non suddividere e di non fare a pezzi la virtù, e pur avendoti dato i modelli in base ai quali dovevi rispondere, senza curarti di questo, mi dici che la virtù consiste nell’essere capaci di procurarsi i beni con giustizia e d’altra parte dici che questo è una parte della virtù?

MENONE: Sì.

SOCRATE: Risulta quindi, da ciò che ammetti, che la virtù è compiere delle azioni con una parte della virtù: infatti affermi che la giustizia è una parte della virtù, come ciascuna delle altre cose. Che cosa intendo dire? Che, avendoti pregato di definire la virtù nella sua interezza, sei molto lontano dal dirmi che cosa sia, mentre affermi d’altra parte che ogni azione è una virtù, se viene compiuta con una parte della virtù, come se tu avessi detto che cos’è la virtù nella sua interezza e io potessi ormai riconoscerla, anche se la sminuzzi in frammenti. (33) Ebbene, bisogna porsi di nuovo da capo, credo, caro Menone, la stessa domanda, che cos’è la virtù, se ogni azione accompagnata da una parte di virtù sarebbe virtù? Questo infatti si vuol affermare dicendo che ogni azione accompagnata da giustizia è virtù. O non sei ancora del parere che occorra la stessa domanda, e pensi invece si possa conoscere una parte della virtù, cosa sia, senza conoscere la virtù stessa?

MENONE: No, non lo penso.

SOCRATE: Se ti ricordi infatti, quando io poco fa ti risposi a – proposito della figura, respingemmo una risposta di questo tipo, che cercava di rispondere attraverso punti ancora in esame e sui quali non c’è ancora un accordo.

MENONE: E li rifiutammo a ragione, o Socrate.

SOCRATE: E allora, carissimo, non devi, mentre si sta ancora cercando che cosa sia la virtù nella sua interezza, pensare di chiarirla a chiunque, rispondendo attraverso le sue parti, o dicendo qualsiasi altra cosa in questo stesso modo, ma occorrerà di nuovo porre la stessa domanda, che cos’è la virtù della quale dici ciò che dici: o ti sembra che le mie parole non abbiano senso?

MENONE: A me pare che dici cose giuste.

SOCRATE: E allora rispondi di nuovo da capo: cosa dite che sia la virtù, tu e il tuo amico?

MENONE: O Socrate, prima di incontrarti avevo sentito dire che tu non fai altro che sollevare difficoltà, tu stesso, e farne sorgere agli altri: e adesso, a quel che mi sembra almeno, mi affascini, mi ammalii, realmente mi incanti, al punto che sono pieno di dubbi. E mi sembri, se è opportuno scherzare anche un po’, in tutto assolutamente simile per l’aspetto e per il resto a questa piatta torpedine di mare. Essa infatti fa intorpidire chi di volta in volta le si avvicina e la tocca e anche tu mi sembra che abbia fatto ora con me qualcosa di simile, (intorpidire); e infatti veramente io sono intorpidito nell’anima e nella bocca e non so cosa risponderti. Eppure ho fatto diecimila volte innumerevoli discorsi sulla virtù e davanti a molte persone, anche molto bene, a quel che mi sembrava almeno; adesso invece non so neppure dire cosa sia. E mi sembra che tu abbia preso una giusta decisione a non navigare fuori da qui e a non allontanarti dalla patria: se infatti, straniero in un’altra città, facessi cose del genere, saresti arrestato immediatamente come un incantatore.

SOCRATE: Sei capace di tutto, Menone, e per poco non m’ingannavi.

MENONE: Precisamente perché, o Socrate?

SOCRATE: Conosco la ragione per cui hai fatto su di me questa assimilazione.

MENONE: Per quale ragione secondo te?

SOCRATE: Affinché ti paragoni a mia volta. Dei belli io so questo, che godono a essere paragonati – per loro infatti è un vantaggio, perché, penso, dei belli sono belle anche le immagini – tuttavia non ti paragonerò. Io, per parte mia, se la torpedine, intorpidita essa stessa, fa così intorpidire anche gli altri, le assomiglio; altrimenti no. Infatti io non faccio dubitare gli altri essendo però io esente da dubbi, al contrario, essendo io stesso in difficoltà più di chiunque, faccio così trovare in difficoltà anche gli altri. Anche adesso, riguardo alla virtù, io non so cosa sia, mentre tu forse lo sapevi prima di toccarmi e invece adesso sei simile a uno che non lo sa. Tuttavia voglio riflettere con te e indagare che cosa mai sia.

MENONE: E in che modo cercherai, o Socrate, ciò che non sai assolutamente cosa sia? Quale tra le cose che non sai proporrai come oggetto della tua ricerca? E se poi, nel migliore dei casi, ti imbattessi in essa, in che modo capirai che questa cosa è ciò che tu non sapevi?

SOCRATE: Capisco cosa vuoi dire, Menone. Vedi come svolgi un discorso eristico per il quale all’uomo non è dato cercare né ciò che sa né ciò che non sa? Infatti ciò che sa non lo cercherebbe – perché lo sa e non ha nessun bisogno di cercarlo – né cercherebbe ciò che non sa – e infatti non sa neppure cosa cercare.

MENONE: Non pensi che questo discorso sia condotto bene, o Socrate?

SOCRATE: No, non mi sembra.

MENONE: Puoi dire come?

SOCRATE: Sì: infatti ho sentito dire da uomini e donne sapienti di cose divine…

MENONE: Quale ragionamento facevano?

SOCRATE: Un ragionamento vero, a mio parere, e bello.

MENONE: Qual è questo ragionamento e chi sono coloro che parlano?

SOCRATE: A parlare sono i sacerdoti e le sacerdotesse, ai quali sta a cuore essere in grado di discutere di ciò di cui hanno il ministero; ma parla anche Pindaro e molti altri poeti, tutti quelli che sono divini. Ed ecco cosa dicono:  esamina dunque se ti sembra che dicano il vero. Affermano infatti che l’anima dell’uomo è immortale, e che talora finisce – e questo lo chiamano morire – talora invece nasce di nuovo, ma non perisce mai; per questo dunque bisogna vivere il più possibile una vita pia; infatti a coloro dai quali «avrà ricevuto espiazione per l’antico dolore Persefone su in alto verso il sole nel nono anno manda ancora una volta le anime e da esse crescono re illustri uomini impetuosi per forza e potenti per sapienza; per il tempo che resta eroi senza macchia tra gli uomini sono chiamati». Dunque, dal momento che l’anima è immortale e nasce più volte, ed ha contemplato tutte le cose, sia qua sia nell’Ade, non c’è niente che essa non abbia imparato; sicché non desta meraviglia il fatto che essa sia capace di ricordare, sulla virtù e sul resto, ciò che sapeva anche prima. Infatti poiché la natura tutta è congenere e l’anima ha appreso tutto quanto, nulla impedisce che, ricordando una sola cosa – e questo gli uomini lo chiamano appunto apprendimento – uno trovi da se stesso anche tutto il resto, se è coraggioso e non si stanca di cercare: cercare e apprendere infatti sono in generale reminiscenza. Non bisogna dunque credere a questo ragionamento eristico:  esso infatti ci renderebbe pigri ed è dolce da ascoltare per gli uomini privi di nerbo, mentre l’altro rende operosi e atti alla ricerca; poiché io credo che dica il vero, voglio cercare assieme a te cosa sia la virtù.

MENONE: Sì, Socrate, ma in che senso dici che non apprendiamo e che ciò che chiamiamo apprendimento è reminiscenza? Puoi insegnarmi che la cosa sta così?

SOCRATE: Lo dissi anche poco fa, o Menone, che sei capace di tutto, e ora mi chiedi se posso insegnarti, io che affermo che non c’è insegnamento ma reminiscenza, per farmi risultare immediatamente in contraddizione con me stesso.

MENONE: No, per Zeus, o Socrate, non parlai affatto con questa intenzione, ma per abitudine; tuttavia, se in qualche modo puoi mostrarmi che la cosa sta così, mostramelo.

SOCRATE: Non è facile, ma, per amor tuo, voglio metterci impegno.  Esperimento con una prova di GeometriaVia, chiamami uno di questi tuoi numerosi servitori, quello che desideri, affinché io possa mostrartelo in lui.

MENONE: Certo. Vieni qua.

SOCRATE: E greco e parla greco?

MENONE: Perfettamente: è nato in casa.

SOCRATE: Fa’ attenzione se ti pare che ricordi o che impari da me.

MENONE: D’accordo, farò attenzione.

SOCRATE: Dimmi dunque, ragazzo, sai che un’area quadrata è fatta così?

SCHIAVO: Sì.

SOCRATE: E un’area quadrangolare che ha uguali tutte queste linee, che sono quattro?

SCHIAVO: Certo.

SOCRATE: E non ha uguali anche queste linee che passano per il centro?

SCHIAVO: Sì.

SOCRATE: E un’area di questo tipo non potrebbe essere anche maggiore e minore?

SCHIAVO: Certamente.

SOCRATE: Se dunque questo lato fosse di due piedi e di due piedi questo, di quanti piedi sarebbe il tutto? Rifletti in questo modo: se qui fosse stato di due piedi e qui di un piede soltanto, la superficie non sarebbe forse stata di un piede per due?

SCHIAVO: Sì.

SOCRATE: Ma dal momento che anche qui è di due piedi, non è forse di due volte due piedi?

SCHIAVO: Lo è.

SOCRATE: E dunque è di due piedi per due?

SCHIAVO: Sì.

SOCRATE: Quanto sono dunque questi due piedi per due? Fa’ il calcolo e dimmi.

SCHIAVO: Quattro, Socrate.

SOCRATE: E non potrebbe esservi un’area che sia il doppio di questa ma simile, avente tutti i lati uguali, come questa?

SCHIAVO: Sì.

SOCRATE: E dunque di quanti piedi sarà?

SCHIAVO: Di otto piedi.

SOCRATE: Suvvia, prova a dirmi quanto sarà la lunghezza di ogni lato di quell’area. Il lato di questa è infatti di due piedi: quanto sarà il lato di quell’area doppia?

SCHIAVO: è evidente, o Socrate, che sarà il doppio.

SOCRATE: Vedi, Menone, che a costui non sto insegnando nulla, ma che mi limito a chiedergli tutto? E ora egli pensa di sapere quale sia la lunghezza da cui risulterà un’area di otto piedi: non credi?

MENONE: Sì.

SOCRATE: E dunque lo sa?

MENONE: No davvero.

SOCRATE: Lo suppone dal lato che è il doppio dell’altro?

MENONE: Sì.

SOCRATE: Sta’ a vedere come egli ricorda di seguito, come deve ricordare.

Dimmi: tu affermi che dal lato doppio si genera l’area doppia; tale area non dico che sia lunga da questo lato e corta da quest’altro, ma che sia invece uguale da tutti i lati, come questa appunto, ma il doppio di questa, di otto piedi: ebbene guarda se a tuo parere risulterà ancora dal lato doppio.

SCHIAVO: A me almeno sembra.

SOCRATE: E questa linea non diventa forse il doppio di questa se aggiungiamo un’altra linea della stessa lunghezza a partire da qui?

SCHIAVO: Certo.

SOCRATE: Da questa linea, dunque, tu dici, risulterà l’area di otto piedi, se i quattro lati sono della stessa lunghezza?

SCHIAVO: Sì.

SOCRATE: Tracciamo dunque, a partire da questo, quattro lati uguali. Sarebbe questa o qualcos’altro l’area che, a tuo parere, è di otto piedi?

SCHIAVO: Certo.

SOCRATE: E in quest’area non ci sono forse questi quattro quadrati, ognuno dei quali è uguale a questo di quattro piedi?

SCHIAVO: Sì.

SOCRATE: Dunque di quanto è? Non è il quadruplo?

SCHIAVO: Come no?

SOCRATE: Dunque ciò che è il quadruplo è anche doppio?

SCHIAVO: No, per Zeus.

SOCRATE: Ma allora di quante volte è maggiore?

SCHIAVO: Di quattro volte.

SOCRATE: Dunque, ragazzo, dal lato doppio risulta non un’area doppia, ma quadrupla.

SCHIAVO: è vero.

SOCRATE: Quattro volte quattro infatti fa sedici, no?

SCHIAVO: Sì.

SOCRATE: Da quale lato risulta un’area di otto piedi? Da questo lato non risulta un’area quadrupla?

SCHIAVO: Sì.

SOCRATE: Un’area di quattro piedi non si genera da questo lato qui che è la metà di questo?

SCHIAVO: Sì.

SOCRATE: E sia: l’area di otto piedi non è doppia di questa e metà di quest’altra?

SCHIAVO: Sì.

SOCRATE: Non risulterà da un lato maggiore di questo e da un lato minore di quest’altro? O no?

SCHIAVO: A me almeno sembra così.

SOCRATE: Bene: perché rispondi quello che pensi. E dimmi: questo lato non era di due piedi e di quattro quest’altro?

SCHIAVO: Sì.

SOCRATE: Bisogna dunque che il lato dell’area di otto piedi sia maggiore di questo di due piedi, ma minore di quello di quattro.

SCHIAVO: Necessariamente.

SOCRATE: Prova dunque a dire quanto pensi che sia lungo.

SCHIAVO: Tre piedi.

SOCRATE: Se dunque è di tre piedi, dobbiamo aggiungere a questo la metà della sua lunghezza e sarà di tre piedi?

Infatti questi sono due piedi, questo un piede; e a partire da qui allo stesso modo questi sono di due piedi e questo uno: e ne risulta quest’area che tu dici.

SCHIAVO: Sì.

SOCRATE: Se dunque è qui di tre piedi e qui di tre piedi, l’area totale non è di tre volte tre piedi?

SCHIAVO: è evidente.

SOCRATE: Ma tre volte tre piedi quanti piedi sono?

SCHIAVO: Nove.

SOCRATE: E l’area doppia di quanti piedi dovrebbe essere?

SCHIAVO: Di otto piedi.

SOCRATE: Quindi neppure da un lato di tre piedi deriva l’area di otto piedi.

SCHIAVO: No, certo.

SOCRATE: Ma da quale lato risulta? Cerca di dircelo esattamente; e se non vuoi fare il calcolo, mostra tuttavia da quale lato.

SCHIAVO: Per Zeus, o Socrate, io non lo so.

SOCRATE: Ti rendi conto, ancora una volta, di quanto costui sia già andato avanti sulla strada della reminiscenza? Considera che prima non sapeva quale fosse il lato dell’area di otto piedi, come del resto non lo sa adesso, ma almeno allora pensava di saperlo, e rispondeva con audacia come se sapesse, e non pensava di trovarsi in difficoltà; ora invece ritiene di essere ormai in difficoltà, e poiché non sa, neppure pensa di sapere.

MENONE: Quel che dici è vero.

SOCRATE: E non si trova in una condizione migliore adesso riguardo alla cosa che non sapeva?

MENONE: Anche su questo sono d’accordo.

SOCRATE: Avendo dunque fatto in modo che si trovasse in difficoltà e avendolo reso torpido, come fa la torpedine, gli arrecammo qualche danno?

MENONE: Non mi sembra.

SOCRATE: Abbiamo fatto, parrebbe, qualcosa di utile, per scoprire come stia la cosa: adesso, che non sa, potrebbe cercare volentieri, mentre allora facilmente, anche davanti a molte persone e spesso, avrebbe creduto di parlare bene a proposito di una superficie doppia, dicendo che deve avere il lato di lunghezza doppia.

MENONE: Così sembra.

SOCRATE: Pensi dunque che egli avrebbe cercato di trovare o di imparare questa cosa che credeva di sapere e che non sapeva, prima di precipitare nel dubbio, avendo capito di non sapere, e prima di desiderare di sapere?

MENONE: Non mi sembra, o Socrate.

SOCRATE: Trasse dunque giovamento dall’essere intorpidito?

MENONE: Mi sembra.

SOCRATE: Osserva dunque partendo da questa difficoltà, cosa troverà cercando insieme a me, io non farò altro che interrogarlo, senza insegnargli nulla; osserva se mi trovi a insegnare e a dare spiegazioni a costui, e non a chiedergli le sue opinioni. Dimmi tu: non abbiamo quest’area di quattro piedi? Comprendi?

SCHIAVO: Sì.

SOCRATE: Potremmo aggiungere a questa quest’altra area uguale?

SCHIAVO: Sì.

SOCRATE: E questa terza uguale sia all’una sia all’altra di queste?

SCHIAVO: Sì.

SOCRATE: Non potremmo completare questo spazio nell’angolo?

SCHIAVO: Certo.

SOCRATE: Non risulterebbero forse queste quattro aree uguali?

SCHIAVO: Sì.

SOCRATE: E dunque? Questa superficie totale di quante volte è maggiore di questa?

SCHIAVO: Di quattro volte.

SOCRATE: Noi avevamo tuttavia bisogno di un’area doppia: o non ti ricordi?

SCHIAVO: Certamente.

SOCRATE: Questa linea da angolo ad angolo non taglia in due ognuna di queste aree?

SCHIAVO: Sì.

SOCRATE: Non ne risultano questi quattro lati uguali che contengono quest’area?

SCHIAVO: Sì, risulta così.

SOCRATE: Osserva dunque: quanto è grande quest’area?

SCHIAVO: Non capisco.

SOCRATE: Non è forse vero che, ogni linea le ha divise a metà all’interno queste quattro aree? O no?

SCHIAVO: Sì.

SOCRATE: Quante sono all’interno di questa superficie queste metà?

SCHIAVO: Quattro.

SOCRATE: E quante in quest’altra?

SCHIAVO: Due.

SOCRATE: Quattro che cos’è di due?

SCHIAVO: Il doppio.

SOCRATE: Dunque quest’area di quanti piedi è?

SCHIAVO: Di otto piedi.

SOCRATE: A partire da quale linea?

SCHIAVO: Da questa.

SOCRATE: Da quella tesa da angolo ad angolo dell’area di quattro piedi?

SCHIAVO: Sì.

SOCRATE: I sofisti chiamano questa linea diagonale: cosicché, se questa linea ha il nome di diagonale, a partire dalla diagonale, come tu dici, o schiavo di Menone, risulterebbe l’area doppia.

SCHIAVO: Certo, o Socrate.

SOCRATE: Che ne pensi, Menone? C’è qualche opinione che costui non espresse, nelle sue risposte, come sua?

MENONE: No, sono opinioni sue.

SOCRATE: E tuttavia non sapeva, come dicevamo poco fa.

MENONE: Quel che dici è vero.

SOCRATE: Dunque queste opinioni si trovavano in lui: o no?

MENONE: Sì.

SOCRATE: Ma in chi non sa possono essere presenti, sulle cose che non sa, opinioni vere?

MENONE: è evidente.

SOCRATE: E adesso in lui queste opinioni sono emerse, come in un sogno; ma se uno gli chiederà più volte queste

stesse cose e in molti modi, puoi star certo che alla fine avrà di questi argomenti una conoscenza puntuale non meno di chiunque altro.

MENONE: è probabile.

SOCRATE: Dunque avrà una conoscenza senza che nessuno gli abbia insegnato, ma grazie a delle semplici domande, avendo recuperato lui da se stesso la conoscenza?

MENONE: Sì.

SOCRATE: Il recuperare da se stessi all’interno di sé una conoscenza non significa ricordarsi?

MENONE: Certamente.

SOCRATE: Ebbene, questa conoscenza che egli adesso possiede, l’acquisì in un certo tempo o la possedeva da sempre?

MENONE: Sì.

SOCRATE: Ma se la possedeva da sempre, è sempre stato anche sapiente; se invece l’acquisì in un certo momento, l’ha acquisita sicuramente non in questa vita. O forse qualcuno ha insegnato a costui la geometria? Egli infatti farà le stesse cose in tutta la geometria e in tutte quante le altre discipline. C’è dunque qualcuno che abbia insegnato a costui tutto? E infatti è certo giusto che tu lo sappia, soprattutto dal momento che è nato ed è stato allevato nella tua casa.

MENONE: Ebbene, sono ben certo che non gli insegnò mai nessuno.

SOCRATE: Ma ha queste opinioni oppure no?

MENONE: Necessariamente, o Socrate, sembra.

SOCRATE: Se dunque non le ha acquisite in questa vita, non è ormai chiaro che le aveva e le aveva apprese in un altro tempo?

MENONE: è evidente.

SOCRATE: E questo tempo non è appunto quello in cui non era uomo?

MENONE: Sì.

SOCRATE: Se dunque nel tempo in cui è e nel tempo in cui non è un uomo avrà insite in sé opinioni vere, che, ridestate da una interrogazione, diventano conoscenze, non è forse vero che la sua anima le avrà apprese da sempre?  E’  chiaro infatti che è o non è uomo per tutto il tempo.

MENONE: è evidente.

SOCRATE: Se la verità delle cose che sono l’abbiamo sempre nell’anima, non dovrebbe dunque essere immortale l’anima, per cui tu con coraggio ciò che ora ti trovi a non sapere – vale a dire ciò che non ricordi – devi accingerti a cercarlo e a ricordarlo?

MENONE: Mi sembra che tu abbia ragione, Socrate, non so come.

SOCRATE: Anche a me sembra così, o Menone. E in verità sugli altri punti non insisterei particolarmente a sostegno del mio ragionamento; quanto invece all’idea che noi, se fossimo convinti di dover cercare ciò che non sappiamo, potremmo essere migliori, più virili e meno pigri di quanto lo saremmo se pensassimo che ciò che non sappiamo non è possibile trovarlo e neppure bisogna cercarlo, questa idea la sosterrei energicamente, se ne fossi capace, e con le parole e coi fatti.

Qui ci fermiamo perché Socrate alla fine ha dimostrato che la virtù non si insegna e che ciò che sappiamo, in realtà è un ricordo della nostra anima, ereditata da precedenti vite non necessariamente umane. Molti filosofi del IV secolo a.c. ne erano convinti. Successivamente  ……..

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